Il lavoro nella zona a Sud della provincia di Salerno, la cosiddetta Piana del Sele, non è mai stata una questione semplice, e non solo in ambito agricolo.
Nel secondo dopoguerra fino a tutti gli anni ’80 in questa zona si ebbe un boom industriale che portò a popolare paesi e città che fino allora vivevano di pastorizia ed agricoltura. Gli anni ’90 e la conseguente globalizzazione hanno poco a poco svuotato le fabbriche e ripopolato i campi.
A notare il potenziale della Piana del Sele sono stati imprenditori del nord, che hanno subito stabilito qui la produzione di prodotti ortofrutticoli destinati alla grande distribuzione organizzata (GDO n.d.a.). L’imprenditoria locale non è però stata a guardare e se, prima della fine del secolo, la manovalanza era prettamente italiana, oggi le cose sono cambiate. Sarà per il cambio culturale della società, sarà perché i salari in questo campo non sono mai cresciuti più di tanto, ma la mano d’opera attualmente nei campi della provincia di Salerno è straniera e maggiormente proveniente da Paesi quali la Romania, l’India e il Marocco, stando a quanto riportato da uno studio del 2021 da parte dell’associazione Terra!. (Fonte: Il Fatto Quotidiano)
Chi scrive conosce la situazione in queste zone in ambito agricolo, e la sostituzione dei lavoratori italiani con quelli stranieri può spiegarsi anche e soprattutto con il mancato alzamento dei salari (nella maggior parte dei casi abbassamento, dato che gli stranieri sono maggiormente propensi a compensi più bassi), ma anche con il cambio di mentalità della popolazione autoctona, sempre meno propensa a lavori faticosi.
Il cosiddetto “Caporalato” è così diventata una vera e propria piaga nella zona nell’ultimo decennio, che però si sta cercando di combattere. Una battaglia vinta in questo ambito è arrivata grazie al progetto NoCap ‘Dal seme alla tavola’, grazie ad un insieme di organizzazioni partite da Eboli (SA) (Fonti: Anteprima24 – Avvenire).
Secondo quanto riportato dall’associazione “Terra!” servirebbe intervenire sul versante della regolarizzazione della manovalanza in agricoltura, dato che la maggior parte della forza lavoro è di origine straniera, spesso senza documenti, contratti o tutele: “L’ultima realizzata lo scorso non è stata sufficiente. Troppi paletti, serviva maggiore coraggio. Soltanto il 2% delle domande sono state processate, andando di questo passo saranno completate tra trent’anni, è inaccettabile”.
Nella Piana del Sele, se è pur vero che la forza lavoro è maggiormente straniera, c’è un ortaggio tipico di queste zone che sembra resistere (se non toalmente almeno in parte n.d.a.) a questo trend. Stiamo parlando del Carciofo di Paestum.
Facendo quattro chiacchiere con alcuni rappresentanti del Consorzio che tutela il famoso “Tondo di Paestum”, raccontavano quanto fosse veritiera questa piaga nel mondo agricolo, ma anche come per fortuna il carciofo si prestasse meno a questa pratica per la sua particolarità tanto nella coltivazione quanto nella lavorazione post raccolto.
Proprio quest’ultima fase è scevra da ogni tipologia di caporalato dato che, ad esempio, sono secoli che i cuori di carciofo vengono conservati sottolio, e per poterlo fare si necessità di una certa manualità che solo chi è nato in queste zone conosce.
Insomma, ci si sta dando un bel da fare per far si che la lavorazione della terra torni ad essere un lavoro dignitoso e non un’occupazione sottopagata che costringe le persone a vivere in un modo che sembrava quasi essere dimenticato.